E' molto frequente incontrare per le vie di Palermo gli "stigghiulari", ossia i venditori di "stigghiola", piatto tipico della cucina siciliana, che ha come ingrediente di base le budella (in particolare quelle di agnello, ma anche di capretto o vitello). Esso gode di riconoscimento ufficiale grazie all'inserimento nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Un piatto simile appartiene anche alla cucina greca, il kokoretsi (κοκορέτσι), ovvero una sorta di grossa stigghiola cotta alla brace con all'interno interiora e frattaglie di agnello, tipica del periodo pasquale. Caratteristico l'odore che si riconosce per strada, effetto del fumo talvolta provocato di proposito a maestria dallo stigghiolaro per attirare gente all'assaggio.
L'uomo in primo piano metteva alla "riffa" i calamari pescati nella notte: andava in giro per le vie di Palermo offrendo in vendita dei bigliettini verdi numerati; alla fine il numero estratto si aggiudicava uno dei calamari che teneva nella vaschetta sul passeggino.
"Concentrazione pattese", simboleggiata da un'aquila, era una lista civica dei primi anni '60, di cui per un periodo fu rappresentante anche Raffaele Saggio, brillante giurista nato nel piccolo paese siciliano di Patti, senatore della Repubblica nella II Legislatura, nonché grande amico di Salvatore Quasimodo. Il poeta a lui dedica i versi di "Vento a Tindari" quando fa riferimento "al soave amico".
Questa fontana, collocata sotto la cattedrale di Patti, fu costruita nel 1647 dal vescovo Napoli, che la volle in stile neoclassico, in contrasto con il gusto barocco dell'epoca. E' infatti inquadrata in un finto portico corinzio ed è sorretta da due leoni accosciati, scolpiti nella pietra arenaria pattese, ma ormai irriconoscibili per la corrosione del tempo. La fontana portava in paese l'acqua di una vicina sorgente ed era tanto usata che sul fondo della vasca di marmo bianco restano ancora i segni rotondi del fondo delle brocche che venivano appoggiate per attingere l'acqua.
Le scritte in rosso sull'edificio recitano:
"La Monarchia è la sola che sia in grado di assicurare la salvezza della Patria. W Umberto W la Monarchia" (scritte sul lato sinistro)
"W il Re W la Monarchia" (scritte al centro)
"Gli arrivisti e gli avventurieri (?) che smaniano per il potere sono coloro che inveiscono con furore la Monarchia. Dio salvi il RE! Viva il Re!"
Petralesi votate per la Monarchia" (scritte sul lato destro)
Le frasi pare siano state fatte scrivere da un barone del posto in occasione del referendum del 1946.
" ... Una volta al circolo dei minatori venne un deputato nazionale, ascoltò i salinari, raccontavano miseria e l'onorevole chiudeva gli occhi come in preda a indicibile sofferenza, infine diede un calcio al tavolo dicendo che per dio, bisognava fare qualcosa; dal tavolo cadde una lampada e andò a pezzi, l'onorevole promise grandi cose, ai minatori toccò comprare una lampada nuova ..." (Leonardo Sciascia)
L'edificazione del teatro avvenne tra il 1870 e il 1880 per volere principalmente di alcune famiglie della borghesia locale, che si erano arricchite con lo sfruttamento delle miniere di zolfo presenti nel territorio. I lavori vennero diretti dall'architetto Dionisio Sciascia, allievo del maestro Filippo Basile, ideatore nello stesso periodo del Teatro Massimo di Palermo. Le stagioni teatrali si susseguirono fino al 1930; poi progressivamente gli spettacoli lasciarono il posto alle proiezioni cinematografiche, fino alla chiusura definitiva nel 1964. Abbandonato per un ventennio, , il teatro diventò inagibile (si dice che qualcuno lo abbia adibito anche a pollaio!), fino quando Leonardo Sciascia agli inizi degli anni ottanta si adoperò per il recupero sia della struttura che del sipario ormai semidistrutto. L'opera di recupero, affidata all'architetto veneziano Antonio Foscari, durò, anche a causa di lungaggini burocratiche, quasi vent'anni. Il teatro infatti riaprì nel 2003, anno in cui la direzione artistica venne affidata ad Andrea Camilleri. Il palcoscenico è separato dalla platea da un golfo mistico, che durante le esibizioni ospita l'orchestra. Nel sipario è raffigurata una scena dei Vespri Siciliani, opera del pittore palermitano Giuseppe Carta.